2 Giugno 2020 Festa della Repubblica

Il REFERENDUM si tenne il 2 e 3 Giugno del 1946 segnando  la semplice ma rilevante (X) sulla scheda riprodotta qui sopra, e fu la prima votazione in Italia a Suffragio Universale. La consultazione popolare vide coinvolti poco più di 21 milioni di Italiani, che scelsero di costituirsi in Repubblica col 54,3% dei voti.
Il risultato del Referendum venne comunicato alla Nazione l’ 8 di Giugno e a quella data risale l’iconica immagine di una sorridente Anna Iberti, a simboleggiare un’Italia felice di avviarsi nel cammino repubblicano riconoscendo a tutti, a partire alle donne, piena partecipazione alla vita della Nazione.
Per convenzione poi si è scelta la data del 2 Giugno per commemorarne la ricorrenza, che è anche l’anniversario della morte di Giuseppe Garibaldi, venuto a mancare il 2 Giugno 1882 all’età di 75 anni.


«La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare»
Piero Calamandrei (1889-1965) ex partigiano , eletto alla costituente nel 1945, che ricordiamo con profondo affetto e riconoscenza per il suo impegno politico e civile, riassunto in particolare nel suo famoso “Discorso sulla Costituzione”, di cui qui riproduciamo alcuni passaggi, pronunciato nel 1955 davanti agli studenti di Milano.

Io mi domando come i nostri posteri tra cento anni giudicheranno questa nostra Assemblea Costituente: se la sentiranno alta e solenne come noi oggi sentiamo alta e solenne la Costituente Romana, dove un secolo fa sedeva e parlava Giuseppe Mazzini.
Io credo di si: credo che i nostri posteri sentiranno più di noi, tra un secolo, che da questa nostra Costituente è nata veramente una nuova storia:…

…Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra Costituzione…

…Essi sono morti senza retorica, senza grandi frasi, con semplicità, come se si trattasse di un lavoro quotidiano da compiere: il grande lavoro che occorreva per restituire all’ Italia libertà e dignità.
Di questo lavoro si sono riservata la parte più dura e difficile: quella di morire, di testimoniare con la resistenza e la morte la fede nella giustizia.
A noi è rimasto un compito cento volte più agevole: quello di tradurre in leggi chiare, stabili e oneste il loro sogno: di una società più giusta e più umana, di una solidarietà di tutti gli uomini, alleati a debellare il dolore.
Assai poco, in verità, chiedono a noi i nostri morti.
Non dobbiamo tradirli.


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La LAPIDE AD IGNOMINIA con l’ Epigrafe di Calamandrei dedicata a Kesselring

Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di queste valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio dei torturati
più duro d’ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA

Il testo completodell’Epigrafe
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La Lapide ad Ignominia nasce dall’increscioso ed incredibile epilogo della storia del Feldmaresciallo Kesselring, che fu comandante delle forze tedesche in Italia negli ultimi 18 mesi della seconda guerra.
Nel 1947 fu processato e condannato a morte per i numerosi eccidi che i soldati tedeschi compirono in quel periodo (Fosse Ardeatine, Marzabotto, Stazzema e molte altre). La condanna fu poi tramutata in ergastolo e poi nel definitivo rilascio per gravi problemi di salute nel 1952.
In realtà Kesselring visse ancora fino al 1960 libero ed onorato nel suo paese, ed arrivò a sostenere che durante quei 18 mesi non aveva commesso nulla di cui pentirsi, e che gli italiani avrebbero dovuto fargli un monumento.
Da qui l’ Epigrafe che Calamandrei prontamente gli dedicò; scolpita sul marmo,venne posata a Cuneo, poi a Sant’Anna di Stazzema e in numerosi altri comuni d’Italia.


Qui di seguito la Canzone del nostro Gian Franco Nasi, che da voce in rime baciate alla Repubblica stessa,  nella sua Canşòun dla Repóblica d’Italia pr’al dû ed şógn, che ritrovate sotto recitata dal nostro Luciano Cucchi.

Canşòun dla Repóblica d’Italia pr’al dû ed şógn

I
Chêr italian, fòm mia tânti stôri,
mʼàn cantē Dante e De Gregori,
per ʼna vôlta e basta stē a sintîr
al pôchi parôli chʼav vôj dîr.
Per cminsipier: bòuna giurnéda
l’é la mé fèsta pèrsa e arcatéda,
l’é la surèla dal vintsìnch dʼAvrîl
nasûdi insèm dal fôgh di fuşìl.
Sûn un fiōr spuntée dôpa ed ʼna guèra
mó vôj la pēş sòtʼ al cēl dla Tèra.
Quând sûn nasûda gh ēra la fâm
al pòpol in pataja al vrîva al pan.
Al tèimp al pâsa, mé invècc mai:
lavôr e democrasìa gh ò per scutmâj.
In tânt ân j ò vést méll cambiamèint
cme nèva sbatûda pʼr al mèr dal vèint.
Mé gh ò peró ʼna sana Costitusiòun
ʼm lʼàn dêda i Pēder, studios galantóm.
Perciò a sûn ché, ânch se un pô sôpa
pugiéda al bastòun dla Dea Europa.

II
Incóo al sèmbra propria un dé speciel
cme sa fósa in arîv un gran temporēl.
Imagìn cse dişén incóo i giûrnēl:
INDRÉE DE STANTʼÂN A SÒM ARTURNÉE.
La sghégia l’infória e al lavōr al manca!
Cme srà al dmân? ognun al sé dmânda.
Adèss cme alōra al dé trî ed şógn
av desdarî da un brótt insògn.
Lavèvov j ôc e guardée là fōra:
ed salveròm la véta l’é gnûda lʼōra.
Turnée a léser la Costitusiòun
serchée in cól léber l’ispirasiòun
per ripartîr cmʼin dal quarantesée
e fé che nisûn l’àrmagna indrée,
nisûn per la fâm chʼas sèinta in perşòun:
sòm tótt só la Tèra in dal stèss barcòun.
E per la mé fèsta dal dû ed şógn
arcôrdev tótt ed quaceròv al grógn.

Canzone della Repubblica d’Italia per il due giugno

I
Cari italiani, non facciamo tante storie,
mi hanno cantato Dante e De Gregori,
per una volta sola state a sentire
le poche parole che vi voglio dire.
Per iniziare: buona giornata
è la mia festa, abolita e ripristinata,
è la sorella del 25 di Aprile
nate insieme dal fuoco dei fucili.
Sono un fiore spuntato da una guerra
ma voglio la pace sotto il cielo della Terra.
Quando son nata c’era la fame
il popolo era allo stremo e voleva il pane.
Il tempo passa, io non invecchio:
lavoro e democrazia sono i miei nomi.
In tanti anni ho visto mille cambiamenti
come una nave in balia del vento in mare.
Ho però una sana Costituzione
che vien dai miei Padri, onesti e studiosii.
Perciò sono qua, anche se un po’ zoppa
appoggiata al bastone della Dea Europa.

II
Oggi mi sembra un giorno speciale
come per l’arrivo di un grande temporale.
Immagino cosa dicono oggi i giornali:
SIAMO TORNATI INDIETRO DI 70 ANNI.
La miseria infuria e il lavoro manca!
Come sarà il futuro? Si domanda ognuno.
Adesso come allora il 3 di giugno
vi sveglierete da un brutto sogno.
Lavatevi gli occhi e guardate fuori:
di salvarmi la vita è giunta l’ora.
Rileggete la Costituzione
cercate in quel testo l’ispirazione
per ripartire come nel 1946.
E fate in modo che nessuno resti escluso,
nessuno per fame si senta in prigione:
sulla Terra siam tutti nella stessa barca.
E per la festa del due di giugno
Ricordatevi di indossare la mascherina.

La Canşòun dla Repóblica è recitata dal nostro Luciano Cucchi

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5 commenti

  • Quello del grande Calamandrei è un messaggio significativo , senza retorica, e che dovrebbe costituire una lezione per tutta la classe politica.

    • Grazie Carlo del bel commento. Questo è appunto lo spirito che ci ha animato, sperando che il messaggio delle sue parole arrivi soprattutto alle generazioni più giovani.
      Grazie per aver seguito il nostro invito a visitare il nostro sito; speriamo di poterti annoverare tra i nostri frequentatori abituali.

  • Bella poesia, spiritosa (bellissimo l’ultimo verso!) ma anche seria e da riflessione. Bella anche la “sghégia”, la parola forse più preziosa… Qualche dubbio mi lascia “vriva” (non sarà vliva ‘voleva’? ma scusate, mè a sòun ed Modna…). Sbagliato sicuramente “quaceròv”, che la voce recita correttamente “quacèrv”, e al massimo sarà quacèrov, come c’è lavèrov. Ma sono pignolerie dopo che ho gustato la poesia!

    • Grazie Fabio, ci fa piacere ritrovarti con un altro commento puntuale e competente sull’uso del dialetto.
      In merito a voleva (..al vrîva al pan) che tu avresti detto “vliva”, forse è proprio la differenza con Modena a risaltare: per noi reggiani è comunque “vrîva”.
      Sull’accento per “quaceròv” hai sicuramente ragione, è uno di quei refusi che immancabilmente ci troviamo nelle produzioni, anche dopo averle verificate a “più mani”. Ci fa piacere che tu abbia comunque gustato la poesia del nostro Gian Franco.
      A presto e continua a seguirci.

  • Grazie Fabio per aver apprezzato il pezzo e soprattutto per le osservazioni critiche. In quanto autore del testo desidero da un lato condividere quanto detto da Paolo, aggiungendo che la Sua osservazione sul termine “quacèrv”, ha suscitato una piccola discussione nella nostra “classe” di settantenni amanti del dialetto. Un’ipotesi formulata da un amico è che “quacèrv” sia più corretto nel caso specifico, in quanto viene prima di una vocale, ma che quacèrov potrebbe essere preferibile prima di consonante (esempio):
    quacèrv al grógn;
    quacèrov la ghégna.
    A me sembra plausibile ma non tutti sono convinti di questo.
    Il dibattito ha rilevato (e rivelato) un altro mio errore nel termine “lavèvov” che va sicuramente cambiato in “lavèv”. Quando ho composto di getto il testo, sentivo “a orecchio” che qualcosa stonava, ma questo segnale non è arrivato ad essere una percezione così netta da indurmi ad una maggiore attenzione.
    Che dire: viva gli errori e chi li segnala.

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