
7 Luglio 1960 – 7 Luglio 2020
Sessantanni da uno dei fatti più gravi accaduto nell’allora ancora non maggiorenne repubblica, che ha visto di nuovo Reggio Emilia in prima fila nelle rivendicazioni sociali, pagare il tributo di sangue più alto.
Abbiamo volutamente scelto un’immagine “segnata” dal tempo trascorso, così come ci sembra segnata e sbiadita la memoria di un episodio che a nostro avviso va invece ravvivato nella conoscenza e nella coscienza dei reggiani, al di là delle celebrazioni ufficiali che si terranno in questo giorno.
Come si è potuti arrivare ai fatti di quel giorno ?
L’episodio, più noto come “i morti di Reggio Emilia” o “i fatti di Reggio Emilia” ha costituito l’apice di due settimane di scontri con la polizia succedutisi in tutt’ Italia.
L’antefatto è rappresentato dall’insediamento nel marzo del 1960, del nuovo governo Tambroni, un governo monocolore DC debole che si regge in parlamento sull’appoggio esterno dei missini e dei monarchici. Con poca lungimiranza, o per determinata provocazione, viene autorizzata dal ministro degli interni Giuseppe Spataro (Sottosegretario Oscar Luigi Scalfaro) la scelta di Genova come sede del congresso del partito missino, a presiedere il quale era stato designato l’ex prefetto repubblichino Emanuele Basile, responsabile della deportazione di antifascisti resistenti e di operai genovesi nel lager e nelle fabbriche tedesche.
Genova, città medaglia d’oro della Resistenza, a questa notizia insorge, e il 30/6/60 decine di migliaia di genovesi organizzano una grande manifestazione spontanea che sfocia in uno scontro aperto con la polizia, costretta alla ritirata consegnando così di fatto la città ai manifestanti. Il prefetto di Genova sarà così costretto ad annullare il congresso missino.
La risposta del governo Tambroni a questa aperta sfida, sarà quella di innalzare ancora di più il livello di scontro, autorizzando l’adozione una linea più dura della polizia, incluso l’uso delle armi a tutela dell’ordine pubblico.

Cosa successe esattamente quel giorno ?
A seguito dei fatti di Genova, le reazioni d’indignazione in tutto il paese furono molteplici e sfociarono in una grande mobilitazione popolare.
La sera del 6 Luglio, dopo una lunga riunione, la CGIL di Reggio Emilia, fino ad allora contraria a manifestazioni “politiche”, proclamò per il giorno seguente lo sciopero cittadino. La polizia aveva proibito gli assembramenti e lo stesso servizio d’ordine della CGIL esortava con le auto-altoparlanti a non creare assembramenti.
Lo spazio assegnato alla manifestazione però, la Sala Verdi, con i suoi 600 posti, risulta largamente inadeguato per gli oltre 20.000 manifestanti intervenuti. Un gruppo di circa 300 operai delle “Reggiane” decise di raccogliersi attorno al Monumento ai Caduti, in piazza della Vittoria, per intonare canzoni di protesta.
Intorno alle 16.45 le forze dell’ordine decidono di intervenire a sciogliere quell’assembramento con una violenta carica di un reparto di “celerini” di 350 uomini.
Le testimonianze riportano che cominciarono i caroselli degli automezzi della polizia, autobotti con idranti, camionette che sparavano bombe a gas e fumogeni. Dopo un primo smarrimento i manifestanti cercarono rifugio sotto l’isolato San Rocco, dove c’era un cantiere, e poi si rivoltarono utilizzando contro la polizia quello che si trovarono sottomano, sedie e tavolini delle distese dei bar della piazza, sassi e assi di legno del cantiere.
Respinti in un primo momento da questa sassaiola disperata, i celerini impugnarono le armi da fuoco e cominciarono a sparare.
Di seguito riportiamo le testimonianze dirette dei cinque omicidi.

In quel punto verrà trovato il corpo di Afro Tondelli (1924), operaio di 35 anni. Si trova isolato al centro di piazza della Libertà. L’agente di PS Orlando Celani estrae la pistola, s’inginocchia, prende la mira in accurata posizione di tiro e spara a colpo sicuro su un bersaglio fermo. Prima di spirare Tondelli dice: “Mi hanno voluto ammazzare, mi sparavano addosso come alla caccia”. Ex partigiano , è il quinto di otto fratelli, in una famiglia contadina di Gavasseto.





La colonna sonora dei “Fatti di Reggio Emilia”
E’ la direttrice stessa di Vie Nuove, Maria Antonietta Macciocchi, che scrive a Pasolini di come, per puro caso, sia stata disponibile la registrazione completa dell’accaduto, resa pubblica poche settimane dopo con il disco Reggio Emilia.
“Io ebbi questo nastro da un commesso di un negozio di tessuti, che si era portato il registratore per registrare il comizio: e, invece, finì col registrare l’agghiacciante sparatoria, non di una guerra, ma di una fredda carneficina”.
In quei tre quarti d’ora di follia furono esplosi più di 500 proiettili calibro 9 lungo dei mitra MAB e una quarantina di bossoli di pistola calibro 7,65.
Dall’ospedale cittadino arrivò una delle testimonianze più orribili da parte di un medico: “In sala operatoria c’eravamo io, il professor Pampari e il collega Parisoli. Ricordo nitidamente quelle terribili 12 ore di fila passate in sala operatoria, arrivava gente in condizioni disperate. Sembrava una situazione di guerra..”
Qui di seguito uno spezzone tratto da quel disco:
dopo una prima parte con le sirene della Celere, si sentono i primi scoppi dei candelotti lacrimogeni, e poi i primi colpi di pistola seguiti da un’intensa raffica di mitra. A questo punto è Marino Serri che grida la sua disperazione con un “Assassini” immortalato dall’audio insieme alla raffica di tre colpi che lo uccide. Le sirene alla fine di questo spezzone sono quelle della croce verde.
Riportiamo qui di seguito un estratto dalla rubrica “Dialoghi con Pasolini” su Vie Nuove del 20 Agosto 1960:
“Quello che colpisce soprattutto, ascoltando questo disco – oltre all’emozione, oltre la pietà – sono due fatti.Il primo è la freddezza organizzata e quasi meccanica con cui la polizia ha sparato: i colpi si succedono ai colpi, le raffiche alle raffiche, senza che niente le possa arrestare, come un gioco, quasi con la voluttà distratta di un divertimento. Questo è già stato notato da tutti: e ora capisco come uno dei morenti abbia potuto pronunciare quella frase: “Mi hanno ucciso come sparassero a caccia”.….“Il secondo fatto che colpisce nel disco di Reggio è la sensazione netta che a lottare non siano più dei dimostranti italiani e una polizia italiana, in un doloroso ma normale, direi, momento del processo di evoluzione della classe operaia. Si ha l’impressione che si trovino ora di fronte due schiere quasi estranee: la popolazione di una città che protesta contro delle truppe occupanti. I poliziotti che sparano non sembrano nemmeno degli italiani, se questa categoria ha ragione di essere almeno come dato sentimentale. Tra i lavoratori e la polizia c’è un salto di qualità, di nazionalità.”

Un Ricordo “difficile”
L’eccidio di Reggio Emilia fu un fatto talmente odioso e vergognoso che da parte delle autorità si fece di tutto per impedirne la commemorazione, arrivando persino a vietare di deporre fiori dove era caduto Lauro Farioli, “perché il selciato antistante la chiesa di San Francesco era proprietà privata”.
Inoltre le autorità tentarono con varie ordinanze di far rimuovere il cippo marmoreo eretto a ricordo dell’eccidio, fino ad un atto di vandalismo che infranse la prima lapide commemorativa. Questa fu subito sostituita con una grossa pietra di granito con incisi i nomi dei cinque caduti, che rimase al suo posto fino al 7 Luglio del 1972, data in cui venne scoperta l’attuale stele, opera dell’artista concittadino Giacomo Fontanesi.
La piazza, che da Cavour fu rinominata Piazza dei Martiri del 7 Luglio, è diventata anche sede di 5 platani dedicati ai 5 martiri
Infine il 7 Luglio del 2018, sono state posate sui luoghi che hanno visto cadere i 5 martiri, cinque “pietre d’inciampo” ciascuna col nome del caduto in quel posto, e da allora si organizza nel giorno di commemorazione un percorso simbolico a collegare queste pietre.
I “Fatti di Reggio Emilia” ricordati in un film della serie Don Camillo e Peppone del 1961.
Ci fa piacere proporre qui di seguito un paio di spezzoni del film: Don Camillo Monsignore ma non troppo, del 1961, che integra i drammatici avvenimenti di Reggio Emilia nel contesto del Mondo Piccolo di Guareschi, in una “quasi” riconciliazione delle parti, immaginabile solamente nell’immaginaria Brescello guareschiana.
Chiudiamo il post odierno dedicato ai Martiri del 7 Luglio, con la delicata poesia in dialetto del nostro Luciano Cucchi, che ne esegue anche la recitazione, con la quale da voce al più giovane di quei caduti innocenti, nella malinconica distanza dei defunti.
Murir in piasa
Certo l’è stran dòp essant’an
cercher ed capir perché
a vint an gnan cumpi
abia dovu pianter lé
e in d’la meint aveiregh gnan piò cèr
c’sa fevia lè in piasa cal set ed lòj ?
cunvint e sicur ed fer gnint ed mel
un dè ed lòj in piasa a protester
cunvint sopratòtt ed meriter mia
la mort per al piomb ed la polisia.
Ed dgiven a me nòna: “mo che bèla eté!”
Rimpians me chè adèsa d’esregh mia arivé.
Morire in piazza
Certo è strano dopo 60 anni
cercare di capire perché
a 20 anni non ancora compiuti
abbia dovuto piantarla lì
e non avere nemmeno più chiaro nella mente
cosa facessi in piazza quel 7 di luglio?
Convinto e sicuro di non far nulla di male
Un giorno di luglio in piazza a protestare
Convinto soprattutto di non meritare
La morte per il piombo della polizia.
Dicevano a mia nonna: “ ma che bella età!”
Rimpiango io qui adesso di non esserci arrivato.
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Grazie per aver dato luce alla memoria di quei giorni terrbli perché non si dimentichi!
Grazie a te Loredana per l’apprezzamento al nostro post. Il nostro intento è stato proprio quello di cercare di ravvivare conoscenza e coscienza; speriamo che ci abbiano seguito in tanti.
La memoria storica è un dovere morale e civile
Cara Grazia come non essere d’accordo con quello che dici. Bisogna avere consapevolezza che la memoria si esaurisce pian piano con l’avvicendarsi delle generazioni, e solo la conoscenza può pienamente sostituirsi ad essa.
Mi sono commosso perché leggendo questo articolo commemorativo e vedendo le foto ho rivissuto quei momenti veramente tragici. Ero là, avevo 17 anni.
Caro Altiero la tua è una testimonianza importante e te ne siamo grati. Ci fa piacere essere riusciti a suscitare un’emozione così forte, anche se, immaginiamo, dolorosa.