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tabachêr
svignarsela velocemente, fuggire
tacagnêr
litigare, bisticciare
tacagnîn
litigioso, facile attaccalite
tacalît
attaccalite, attaccabrighe
tachēda
foggia di abbigliamento per occasioni o feste, vistosa od eccentrica
tacòun
strato appiccicoso, anche di sporcizia
tajōla
cuneo, di sguincio
tamarâs
materasso
tambra
pollone
tamógn
abbastanza resistente (oggi diremmo resiliente)
tapēda
grande mangiata, sbafata
tapée, tapères
agghindato, agghindarsi
tapêr
mangiare in gran quantità, pappare
taraghégna
individuo litigioso, attaccabrighe
tarōl
tarlo
tarulì
tarlato
tasèl
solaio
tatòun
poco sveglio, ingenuo
tavân (èlba di)
tafano (all’alba dei = tardi)
tèg
tetto
tègia
tegame
tèiga
baccello dei legumi
tèiga !
via! scappa!
tènder
occuparsi, accudire, badare, vigilare
tèpa
gentaglia, individuo malevolo
tēra (ed pân)
fila intera di pani
tēşa
fienile
tevdura
tridura (uova sbattute con il formaggio)
tèved
tiepido
tgnés
consistente; costante, perseverante; cocciuto, ostinato
tgnîr
tenere
tirabusòun
cavatappi
tirancli
bretelle
titìn
infantile per capezzolo, sia singolare che plurale
tlêr
telaio
tóf
malodore (ciapêr al tóff)
tomana
ottomana, divano
tònd
piatto
tôpa
talpa; anche vulva
tōr
togliere, prendere
tórsla
rigonfiamento da puntura (zanzara, ortica)
trabiscân
ciarlatano, truffatore, personaggio sinistro
tragatèin
traffichino, faccendiere, maneggione
tralēda
ragnatela spessa e annosa
trambalòun
barcollamento, vacillamento
tràmpel
trabiccolo, aggeggio complicato e non affidabile
tràmplêr
pasticciare, baloccarsi con trabiccoli
tramplòun
maldestro, grossolano nell’agire, casinista impegolato in vari traffici
trapéch
tracollo, perdita d’equilibrio
trēga
combriccola, congrega
trégn
orcio; persona tracagnotta
trêr
tirare; gettare (trêr via = rimettere)
trîd
consunto; di poco valore; triste
tronēda, trunēda
forte rumore di tuono preceduto da lampi
trôun
tuono
trusêra
terriccio mescolato al concime organico
tugnin
soldato tedesco
tulêr, tulirōla
tagliere
turlîr
tubare
tuşòun
tosatura di formaggio fresco

ucarèla
gancio ferma imposte
ucèe
occhiali
umbréghel
ombelico
umbrîş
verme, lombrico
umèt
gruccia, attaccapanni; manichino per sarti; birillo, ometto del biliardo
uşvéj
utensile, arnese; birichino; pene

vairòun
vairone, pesce d’acqua dolce simile al cavedano
vansêr
evitare di fare, fare senza; anche avanzare nel senso di residuare
e vans
et vans
al, la vansa
vansom
vansê
e vansen
vasèl, vassèl
botte
vcêra
vecchiaia
vdagna
passerella
vēder
vetro
viasōl
viuzza, sentiero pedonale
vida
vite (sia pianta che meccanica)
vintâj
ventaglio
virêr, arvîr
aprire
vló
velluto
vōd, vōda
vuoto, vuota (anche di mucca non gravida)
vòja
voglia, desiderio
vşèin, (anche aşvein e avsein)
vicino
vulôt
allegro, arzillo; sensibile al fascino femminile

Vedi alla lettera > S (Ş)
Il mistero della Z che, semplicemente, nel reggiano non c’é !
Ovvero del come e perché nell’affrontare il dialetto reggiano scritto ci si imbatta in in tante e diverse varianti grafiche che cercano di esprimere foneticamente un suono che non c’é, quello della Z, che possiamo incontrare come:
ṣ – Ṣ – š – Š – ş – Ş – ž – Ž
Qui di seguito l’argomentazione sviluppata dal nostro Isarco Romani dal punto di vista squisitamente tipografico, per comprendere come abbiano potuto essere usate nel tempo varianti grafiche così diverse, e perché noi di Léngua Mèdra abbiamo optato per la scelta rigorosa di abbandonare definitivamente la Z a favore della S sorda espressa con Ş ed ş.
La lettera zeta in italiano ha due espressioni fonetiche:
la z sorda (mazzo, pazzo, pozzo, ecc.) e la z dolce o sonora (razzo, pranzo, organizzare).
Nessuna di queste due espressioni è presente (udibile) nel dialetto reggiano (cittadino). La z è stata usata nella letteratura reggiana, tradizionalmente, per esprimere la s sonora, dato che in italiano la lettera s ha di nuovo due valenze non graficamente differenziate, s dolce sonora (rosa), s sorda (sapone), e quindi non si poteva usare la s se non creando parecchia confusione; in italiano oltretutto ricorre la s sorda assai più che non la s sonora.
I testi dell’Ottocento e antecedenti potevano peraltro contare solo su composizioni tipografiche a caratteri mobili, nelle quali non erano disponibili segni speciali, almeno in Italia; diverso è il caso, ad esempio, del serbo-croato, che differenzia suoni dolci e sordi con l’aggiunta di accenti, beati loro!
Con l’avvento della composizione in linotype si sono aggiunte parecchie possibilità e sono comparsi, da ultimo, i tentativi di Ferrari-Serra di differenziare la s sonora (prima col pallino sotto Ṣ, poi con l’avvento della fotocomposizione con l’accento “slavo” sopra Š), pur mantenendo la Z solo quando precede una vocale a inizio parola, ma questa scelta è stata a mio parere troppo timida e imprecisa perché non corrisponde sostanzialmente a una diversa pronuncia; infine Denis Ferretti (ma non è il primo né il solo, la usa anche Rentocchini, per quanto sassolese) ha codificato la Ş, con quella specie di cediglia sotto.
In ogni caso si tratta pur sempre di convenzioni, si potrebbe anche tornare alla zeta, specificando (dove e come?) che non va mai pronunciata come in italiano, ma è abbastanza fuorviante e rischierebbe di importare suoni estranei da parte di chi non fosse sufficientemente informato (la maggioranza).
Noi di Léngua Mèdra crediamo che l’adozione della grafia Ş possa infine avere anche una valenza “educativa” e risolutiva di una questione ormai secolare e ci si possa e debba abituare ad usarla sempre al posto della Z.
Isarco Romani
Concludiamo la trattazione della Z con il breve saggio di Denis Ferretti, LA “Z” NEL REGGIANO, recentemente pubblicato dall’autore sulla Grammatica del dialetto Reggiano, visibile qui sotto la “Pagina di Denis”.
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