Mòd ed dir

In queste pagine vorremmo elencare i modi di dire specifici del nostro dialetto Reggiano, da quelli più attuali a quelli spariti ormai dall’uso comune, ma che troviamo ancora pieni di fascino.

Andòm a MòdnaQuesto non è un modo di dire ma un bell’esempio di Palindromo in dialetto Reggiano
Al bûş ‘dla Jacma Porzione di cielo il cui aspetto da indicazioni meteorologiche a breve
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Al calèndri arşâni Dette anche Calèndi, che nel reggiano si osservavano in Marzo
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Al MaşâdeghOvvero “Il Maggiatico”, detto anche “Maggengo“!
Con cui si intende il primo taglio di erba fresca da dare alle mucche, dopo i mesi invernali alimentate a fieno, da cui anche il nome del formaggio prodotto nei due periodi, che da “Vernengo” (invernale, a fieno) diventa “Maggengo” (da maggio in poi con erba fresca).

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An gh’è si trist cavagn ch’èn vegna boun na volta l’anNon c’è cosa, per rovinata che sia, che prima o poi non faccia comodo
Arşân da la tèsta quèdraReggiani dalla testa quadra
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Äs s’ciâpa pió mòschi cun ’na gòsa ed mēl che cun ’na bòta d’aşèjSi acchiappano più mosche con una goccia di miele che con una botte d’aceto.
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As pôl mia andêr a mèsa e stêr a càNon si può andare a messa e contemporaneamente restare a casa a fare i propri lavori
Ciapêr ‘na ciavèda Letteralmente: “Prendere una chiavata”, con significato di essere imbrogliati, giocando sul doppio senso della parola “chiavata”, che però è attinente al sigillo a forma di chiave che l’autorità competente apponeva sulle aste di misurazione (braccio, pertica)
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Dgî ch a gnî e gnân ‘n gnî e gnân.




E prân prî prân !
Questo è lo scioglilingua più iconico e divertente del dialetto reggiano, che tutti prima o poi citano, e che quasi nessuno sa scrivere correttamente.
Nella traduzione libera significa “Dite che venite e mai che veniate davvero”, mentre la traduzione letterale, che non tiene conto dell’espressività è questa: “Dite che venite e neanche non venite neanche”.

Il divertente scioglilingua si è poi ulteriormente arricchito di un corollario in sintonia con il ripetersi di parole incomprensibili ai “forestieri”, che significa: “E pur potete pure !”.

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Dûr da râderDuro da grattugiare, coriaceo, non accomodante
Èser a la cavdàgnaRidursi sul lastrico
Èser furob c’me un şdasEsser furbo come un setaccio, cioè far passare il buono e trattenere per sé lo scarto
Gustós cm’al mèl ed panşaPiacevole come il mal di pancia
In avrîl a bóta anch i mânegh d i badîlIn aprile fioriscono anche i manici dei badili
Tipica iperbole Reggiana che celebra le rigogliose fioriture primaverili, ma con un corollario d’indicazione diuna buona o cattiva stagione agricola.
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In mancànşa èd cavaj as fa trotèr j’èsenIn mancanza di cavalli vanno bene anche gli asini
I sciflîn bişògna vèndrî quând a gh’é la fēraI fischietti bisogna venderli quando c’è la fiera
La roşêda d San ŞvânNel mese di giugno la data più significativa legata alla tradizione locale è
sicuramente il giorno di San Giovanni. O meglio “la notte” di San Giovanni

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Mnèr l’órs a Mòdna Mettersi a impresa da non ne trarre onore, né guadagno.
Quând t’în fè ‘na bèla a t câsca ‘n’urèciaQuando fai qualcosa di ben fatto ti cade un orecchio (detto di qualcuno che non combina mai niente di buono)
San Şvân al fà vèder l’ingân San Giovanni fa veder gli inganni
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Spènder aquaOrinare

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