Il difficile gioco della scrittura bifronte
Citiamo dalla definizione ufficiale del termine Palindromia, di essere caratteristica:
“di verso, frase, parola, cifra o data leggibili con lo stesso significato sia da sinistra a destra, che da destra a sinistra “
Si considera inoltre palindroma anche la singola parola che letta al contrario genera un’altra parola di senso compiuto, come ad esempio: essere <> eresse
Questa caratteristica delle parole che sembrano serbare contenuti “segreti” rivelabili e rivelati solo agli “iniziati” di certe conoscenze, ha da sempre alimentato una certa aura magica attorno alla meraviglia della rivelazione.
Basti pensare a quello che è forse il più famoso ed antico Palindromo, presentato addirittura in forma di quadrato magico, studiato ed interpretato da oltre 2000 anni e di cui il significato rimane tuttora oscuro e non rivelato: SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS

Anche nel nostro dialét arşân si “nascondono” delle palindromie che sono solo da scoprire e rendere evidenti, come questo esempio classico: ANDOM A MODNA
Il nostro Isarco Romani si è cimentato in questa difficile “arte”, che nel nostro dialetto presenta alcune difficoltà in più, ed è con piacere che presentiamo su questa pagina i frutti dei suoi sforzi.
PALINDROMI IN ARŞÂN
di Isarco Romani
È superfluo dire dell’inutilità dei palindromi, ciò non toglie che risultino sempre un po’ intriganti e che vi ci siano applicati, per puro divertimento, anche scrittori o studiosi famosi.
Ne risultano quasi sempre frasi un po’ sconnesse e surreali, nonsense, dove spesso si danno per sottintesi un inizio o un seguito che non ci possono essere. Nonostante sia comunemente ammesso ignorare punteggiatura, apostrofi e accenti nell’inversione (che quindi evito di mettere quando il senso è comunque chiaro), comporre palindromi in lingua reggiana è assai arduo per almeno due motivi: l’uso della lettera h in finali di parole per avere la c e la g dure; l’elevata frequenza dei dittonghi “ei” e “ou” che risultano quasi inservibili quando rovesciati.
A CAVAL DLA VACA
A cavallo della vacca [*]
[*] chiaramente debitore dell’«accavallavacca» fatto conoscere da Stefano Bartezzaghi (ma ideato da tal Marco Morello), con la differenza che in reggiano, pur non essendo un’unica parola, ha un senso compiuto.
A L’ÈRA PRAN N’ARPARÈLA
Era pur una rondella
AL SREV TROP, AL T A PO DET, TE DOP AT LA PORT VERS LÀ
Sarebbe troppo, ti ha poi detto, tu dopo la porti verso là
E VODNI TÓT IN DOVE ?
Vuotano tutto, dove ?
I OR ATACH GAVASA SA VAGH CATAROI ?
Gli ori attorno a Gavassa, se vado, troverò ?
Ò MÉS AD DERGH GRED DA SEMO
Ho iniziato a metterlo tra gli scemi
SE TI PORT, N’ARSANA O DO, AN ASRAN TROPI, TES
Se le porti, una reggiana o due, non saranno troppe, va.
Ci auguriamo che abbiate apprezzato come noi l’alto grado di funambolismo linguistico dimostrato qui dal nostro Isarco, e invitiamo chiunque lo voglia a cimentarsi su queste nostre pagine con le proprie prove di destrezza nel dialetto reggiano, nell’ambito dei palindromi, motti di spirito, rebus ed enigmistica, ed ogni altro gioco con le parole vi suggerisca la vostra fantasia.
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Articolo splendido. Grazie !
Complimenti a Isarco